Medicofuturo:Salve Dott. Melodia, in questi tempi appaiono su internet diverse discussioni attorno agli “effetti secondari” dei “farmaci “ omeopatici. Sarebbe forse opportuno provare a chiarire i concetti in termini generali e poi affrontare la questione dal punto di vista omeopatico.

Dott. Melodia: Innanzitutto, Dott. Rocco, la ringrazio di avermi dato l’opportunità di parlare, in questa rubrica, di un argomento centrale in termini di impostazione metodologica e che contraddistingue i paradigmi della medicina allopatica ed omeopatica.

 

In via prioritaria va chiarito, nel suo puro significato biologico, che cosa s’intende per effetto primario e secondario rispetto alla sensibilità, intesa come suscettibilità biologica, secondo il principio dell’omeostasi, propria della vita tutta. Questo perché nella comune accezione “effetto secondario” viene confuso con “effetto collaterale o indesiderato” che significa reazione non prevista e/o non prevedibile nello specifico soggetto che assume il farmaco! 

L’effetto primario  evidenzia il cambio proprio dell’organismo sottoposto ad uno stimolo esterno sia esso di natura chimica, fisica, biologica o psicologica. Questo stimolo, infatti, se prevale per intensità sul sistema vitale (omeostasi), fa manifestare uncambio più o meno profondo e di durata più o meno lunga; tutto ciò dipende dalla quantità e qualità dello stimolo stesso.Naturalmente l’effetto primario è conseguenza di una causa esterna. Una forte intossicazione, un colpo di freddo o di calore, uno spavento, una puntura d’insetto, una sufficiente carica virale o batterica, un trauma etc. provocano effetti primari caratteristici per specie vivente e determinano un cambio nell’equilibrio dell’organismo che può, nei casi gravi, portare a shock ed anche a morte.

L’effetto secondarioavviene in modo istintivo e naturale di fronte ad uno stimolo che produce un effetto primario. Esso infatti rappresenta il tentativo biologico intrinseco ed autonomo dell’organismo di ritrovare l’equilibrio precedente, naturale; ovvero quello di annullare gli effetti dello stimolo esterno che ha provocato l’effetto primario. L’effetto secondario dipende quindi dal tipo e quantità dell’effetto primario in termini di specie e si manifesta secondo le capacità reattive (omeostasi) in termini individuali; tutto ciò è finalizzato a riportare, per quanto possibile, l’organismo nel suo stato di equilibrio che precedeva l’evento esterno in questione.

Medicofuturo: e in un farmaco “convenzionale”?

Dott. Melodia: Come sappiamo il farmaco convenzionale, tranne in alcuni casi che mi piacerebbe trattare in una futura intervista, agisce sull’organismo con i suoi effetti primari attraverso meccanismi di azione farmacologici e quindi chimici.  

Ogni intrusione esterna, quindi anche quella farmacologica, nel soggetto malato, non può sfuggire al però principio biologico generale dell’omeostasi. La semplice invasione farmacologica nell’organismo, effetto primario, stimola una reazione, effetto secondario, volta ad annullare lo stimolo della sostanza stessa.

Detto in altri termini, l’effetto primario, serve a contrapporsi, bloccare o annullare, sul piano chimico, le alterazioni intrinseche a un certo stato di malattia. Quello secondario nasce per omeostasi, cioè perché l’organismo si oppone alla tossicità intrinseca del farmaco e vuole tornare nelle sue condizioni normali. Il farmaco ideale sarebbe quello in grado di curare e allo stesso tempo di annullare la reazione secondaria dell’organismo.

Il farmaco convenzionale va ripetuto periodicamente, in dose efficace, perché mantenga i suoi effetti primari sull’organismo. Come sappiamo però, spesso il farmaco diventa inefficace nel tempo.  Questo avviene in quanto l’organismo annulla gli effetti primari dei farmaci in una sorta di adattamento biologico; cosa molto evidente con gli psicofarmaci!

A questo punto è interessante notare inoltre, che spesso i farmaci convenzionali agiscono sull’organismo, con i loro effetti primari, secondo il paradigma dei contrari, o di sostituzione come avviene nelle terapie ormonali. Un esempio di terapia del “contrario” è la terapia antibiotica, mirata, a fermare la replicazione dell’agente patogeno. E’ un contrario che agisce annullando la presunta causa esterna della malattia piuttosto che agire sul terreno biologico che la predispone!.

Medicofuturo: E’ una definizione equivalente di effetto collaterale, iatrogeno, indesiderati o di rebound?

Dott. Melodia: I meccanismi biologici di cui parliamo sono generali e intrinseci a ogni persona e ad altri organismi viventi.

Nella pratica clinica, in altre parole nell’approccio con il malato, siamo di fronte non solo a una dinamica di specie o fisiologica ma soprattutto a una dinamica individuale (idiosincrasia) che può determinare oltre alla reazione di specie, o comune, anche una spropositata sensibilità tossicologica o una reazione secondaria individuale che risulta imprevedibile; con reazioni estreme e gravi. Sia su un piano d’ipersensibilità (individuale) reattiva al meccanismo farmacologico, sia in tema di tossicità individuale, legata alla chimica del farmaco; quello che viene chiamato effetto collaterale o indesiderato o rebound.

Va anche segnalato un fatto che sarà, spero, il tema di un prossimo incontro. Lo stato di malattia, di per sé, ha già attivato, come si legge proprio nei sintomi che ne sono l’espressione, un tentativo riparatore autonomo nell’organismo; un tentativo che nello stato acuto, in molti casi, riesce a recuperare la salute.

Di conseguenza, l’azione farmacologica, interrompendo, con i “contraria contrariis curantur”, il meccanismo naturale di guarigione dell’organismo, soprattutto nella malattia cronica, può ulteriormente peggiorare lo stato complessivo del malato a medio e lungo termine o, paradossalmente, allungare i tempi di guarigione.

La vera guarigione non è solo assenza di sintomi ma uno stato di armonia generale!

Medicofuturo: Perché nella pratica clinica convenzionale avviene tutto ciò? Qual è il paradigma di riferimento della medicina convenzionale o allopatica?

Dott. Melodia: La metodica convenzionale studia la patologia da una parte e il farmaco dall’altra: ovvero in due momenti di ricerca separati.  La ragione di questa divisione è che il modello di riferimento della medicina convenzionale è la malattia. E’ un modello statistico statico perché avulso dalla dinamica del vivente, l’alterazione biologica viene definita come un artefatto a se stante.

La realtà invece è diversa, non esistono malattie ma solo esseri umani malati.

Di conseguenza gli strumenti di cura della metodologia convenzionale sono mirati all’evidenza, sintomi, della malattia diagnosticata, e non a debellare le cause di natura omeostatica o predisponente; come dovrebbe invece essere.

In questa visione statica dell’uomo le sperimentazioni farmacologiche sono indirette, infatti avvengono in vitro, su animali e comunque sulla malattia, piuttosto che testare la sensibilità del singolo malato.

Come si intuisce la mancata conoscenza della suscettibilità individuale della persona al farmaco, costruito per parametri generici (malattia), deve fare i conti con l’individualità reattiva peculiare di ogni malato; ecco perché dietro l’angolo c’è sempre il pericolo, per l’assunzione di ogni farmaco.

Pericolo che la deontologia aggira con le avvertenze allegate al farmaco in cui si legge ciò che potrebbe capitare al malato che lo assume, per pregresse esperienze. Girando così la responsabilità dell’inadeguatezza scientifica della propria ricerca all’anello più debole della catena che è il malato; egli viene avvertito su ciò che potrebbe capitargli con l’assunzione di un certo farmaco! Qualche volta, nelle avvertenze, vengono riportati anche effetti gravi che non giustificano il rischio rispetto alla malattia che il farmaco curerebbe! 

La provvisorietà di questo tipo di ricerca della medicina convenzionale è sotto gli occhi di tutti. Continuamente queste esperienze sperimentali postume, che avvengono con l’uso sul campo di un certo farmaco, hanno evidenziato effetti non previsti sul singolo malato; spesso il farmaco viene ritirato dal mercato dopo un certo tempo in cui è stato sperimentato sul campo.

Infatti la sperimentazione, prima in vitro o animale, non può prevedere cosa avverrà nella clinica quando il farmaco passerà su di una popolazione molto più vasta. Basta citare il caso delle statine. Tutto bene per l’effetto che si richiedeva ovvero la riduzione dell’indice colesterolemico nei trials di laboratorio.

Nella pratica clinica sul cittadino, man mano che aumentava il campione di consumatori di statine, si sono evidenziati i casi di miopatia; sino alla rabdomiolisi (rottura delle cellule del muscolo scheletrico).

Questo “effetto indesiderato o collaterale” epidemiologicamente  emerse man mano che si diffondeva l’uso delle statine sui cittadini che lo richiedevano; quindi si è trattato di una sperimentazione ab usu in morbis.

Questo effetto collaterale e indesiderato sembrerebbe ancora non chiarito nella sua genesi e secondo dati ufficiali si è allo stato di ipotesi!

Tutto ciò sta dimostrare l’iniquità della impostazione della ricerca farmacologica  della medicina convenzionale che avviene in due momenti distinti: con lo studio dell’uomo da una parte e del farmaco dall’altra; tutto ciò comporta una continua provvisorietà!

Medicofuturo: Queste definizioni possono essere applicate al rimedio omeopatico?

Dott. Melodia: No! Assolutamente!

La medicina omeopatica, i cui detrattori ancora in questi giorni, non comprendendo (o non applicandosi per farlo, per motivi che non vale la pena di approfondire) il significato metodologico della medicina omeopatica, si esercitano, negli inserti di quotidiani di grande diffusione, a denigrarla e tacciarla di mancanza di aggiornamenti scientifici.

Per sua ventura invece la medicina omeopatica si basa su una metodologia di ricerca e praxis clinica che è essenzialmente vitalistica e che considera la risposta dell’organismo nella sua totalità anche sul piano sperimentale.

Come abbiamo visto, la necessità di ricercare continuamente farmaci efficaci risulta essere proprio un aspetto che caratterizza la medicina allopatica. Il mondo convenzionale chiama tutto ciò “aggiornamento” o “ricerca scientifica” invece che “eterna provvisorietàconseguente a un’errata impostazione metodologica autoreferenziale e sovente acritica quando soggiacente a potenti scelte di marketing!!

La scienza convenzionale, come abbiamo visto, non si rende conto che l’impostazione inziale della ricerca, basata su analisi chimiche, biochimiche ed istopatologiche da una parte e terapia dall’altra, è lontana dal poter riconoscere la dinamica propria della vita.

Infatti, il meccanismo apparentemente complesso della vita se sottoposto a indagine analitica, risulta comprensibile solo se osservato unitariamente nella sua suscettibilità autonoma e studiato attraverso fatti evidenti; come avviene con la sperimentazione di rimedi omeopatici ultra molecolari sull’uomo sano!

Il vivente non può e non deve essere rappresentato come un meccanismo cibernetico privo di autonomia vitale; questa impostazione errata condannerà la medicina convenzionale all’eterna provvisorietà che la caratterizza alimentando solamente una “presunta” ricerca scientifica che invece è l’espressione di assenza di principi metodologici.

La ricerca in medicina omeopatica avviene invece in un unico momento.

Infatti la medicina omeopatica conosce il malato attraverso il farmaco con la sperimentazione sull’uomo sano di droghe “infinitesimali”.

Non ci sono deleghe nella ricerca della medicina omeopatica ma lo studio dell’uomo avviene direttamente attraverso il farmaco (rimedio) che lo curerà secondo il principio, naturale, della similitudine. Per questo motivo in medicina omeopatica non ci sono farmaci (rimedi) obsoleti da dover ritirare dal mercato!

Quindi nessuna “provvisorietà” e necessità di “ricerca” per rimpiazzare l’inadeguatezza di farmaci emersa dopo il loro utilizzo sul malato; come avviene per i farmaci convenzionali!

La sperimentazione omeopatica avviene essenzialmente testando i “rimedi” in piccole dosi o in dosi ultra molecolari, dopo un trattamento di diluizione ed energizzazione inedito e spiegato dettagliatamente da S. Hahnemann, emerito chimico e fisico, sull’uomo sano.

La sperimentazione sull’uomo sano fa emergere cambi nella sensibilità reattiva e percettiva dello sperimentatore che rappresentano gli effetti primari o patogenesi del rimedio. Nessuna sperimentazione omeopatica è stata portata così avanti da provocare lesioni nello sperimentatore. 

L’azione curativa di uno specifico rimedio omeopatico sul malato, rimedio selezionato secondo il principio di similitudine tra i sintomi sperimentali del rimedio stesso e quelli peculiari del malato, si spiega appunto come effetto secondario dell’organismo, indotto in modo specifico, per qualità e quantità, da quel rimedio scelto in analogia tra i sintomi della sperimentazione, effetti primari, e quelli del malato.

L’effetto secondario (omeostasi), in risposta a quello simile alla malattia artificiale indotta dal rimedio sul malato, genera una reazione  riparatrice contraria e di opposizione alla stessa malattia per qualità (rimedio) e per quantità (dose); cosa che porta alla guarigione del malato secondo un procedimento di risposta dell’organismo del tutto naturale!

Questa sollecitazione mirata qualitativamente (rimedio omeopatico) a elicitare una reazione naturale biologica dell’organismo, attraverso un’indicazione specifica sperimentale, rappresenta la straordinaria intuizione di C. S. Hahnemann.

Da quanto sopra emerge in sintesi che:

1) Il farmaco convenzionale sopprime i sintomi, pallia, con i suoi effetti primari, attraverso una azione chimica.

2) Il rimedio omeopatico cura il malato attraverso la sua stessa potenzialità reattiva (omeostasi) stimolando, secondo similitudine sintomatologica, una reazione adeguata o reazione secondaria similare dell’organismo che diventa guaritrice.

L’azione del rimedio omeopatico, che è una preparazione attiva, avviene sul piano fisico, come evidenzia il fatto che in assenza di materia le preparazioni omeopatiche inducono cambi sintomatologici nell’uomo sano sperimentatore; cambi che sono caratteristici per tipo di droga.

Gli stessi rimedi curano malati che presentano sintomatologie analoghe a quelle indotte sperimentalmente! Da più di duecento anni, non solo l’uomo ma animali di più specie.

A questo proposito va detto che la medicina omeopatica veterinaria è la dimostrazione ulteriore che i detrattori di turno della medicina omeopatica non hanno argomenti e quando parlano di effetto placebo forse non sanno che questo per definizione è assente in un gregge di pecore o in genere negli animali.

Medicofuturo: Allora quali sono gli effetti “indesiderati” che possono comparire in seguito a somministrazione del rimedio omeopatico?

Dott. Melodia: Desidero subito chiarire che nella mia esperienza non ho mai trovato punti deboli nella struttura metodologica della medicina omeopatica.  Se il medico omeopatico segue l’epistemologia della medicina omeopatica, non possono esserci effetti indesiderati.

Detto ciò naturalmente nascono problemi nella pratica clinica.

Questi problemi però vanno addebitati a circostanze di tipo operativo che sarebbe troppo lungo descrivere ma vale la pena di citarne qualcuna.

Non si tratta quindi di addebitare al rimedio gli effetti indesiderati ma si tratta di indagare su come lo si è usato!

1) In primo luogo il medico omeopatico deve essere formato in modo classico ovvero deve avere capacità e consapevolezza che il suo strumento di cura è un rimedio e non un farmaco.

Infatti, il medico deve usare il rimedio come tale e non come farmaco; inoltre deve calibrare bene la dose che è quella che stimola la reazione guaritrice (effetto secondario).

Ovvero deve sfruttare gli effetti secondari indotti e non quelli primari somministrando il rimedio come una cura ricostituente o peggio sintomatologicamente prescrivendo più rimedi diversi durante la giornata.

2) In generale un cattivo uso del rimedio e delle sue dosi, come accennavo sopra, comporta per il paziente una patogenesi del rimedio ossia, il paziente diventa uno sperimentatore che manifesta i sintomi primari del rimedio, o ne accentua alcuni dei suoi.

3) Oppure i sintomi, dopo un primo miglioramento generale,ricompaiono più fastidiosioppure spariscono i sintomi per cui si è andati a visita e si insediano nuovi sintomi soprattutto quando si assumono rimedi differenti durante la giornata. Paradossalmente alcuni pazienti si ritengono soddisfatti se un eczema sparisce anche se ora è subentrata la colite!

4) Molti pazienti assumono rimedi omeopatici, “fai da te”, come farmaci in base alla patologia di cui sono portatori e fanno ciò aiutati da semplificazioni cliniche online; come spesso emerge dalle testimonianze che leggiamo su questo Forum. L’indagine omeopatica è molto sofisticata e non si basa sulla patologia quindi queste auto prescrizioni possono determinare la patogenesi sperimentale o sopprimere apparentemente i sintomi creando un potenziale indebolimento del malato.  

5) Infine bisogna fare cenno a pazienti incurabili, riconoscibili dal medico omeopatico, che a causa di soppressioni farmacologiche continue e palliative, hanno perso la possibilità di recuperare un equilibrio autonomo stabile. Questi pazienti di solito sono costretti ad assumere i rimedi con più frequenza! In questi casi il trattamento omeopatico, guidato dal medico, può essere solo palliativo e comunque diventa benemerito in quanto privo di tossicità!

 

Medicofuturo: Gli aggravamenti sono duraturi?

Si tratta di patogenesi, cioè di sintomi primari indotti dalla ripetizione del rimedio, questi rientrano sospendendo l’assunzione del rimedio.

 

Medicofuturo: E i nuovi sintomi che appaiono?

Se il rimedio è stato usato oltre il necessario ed ha fatto apparire nuovi sintomi bisogna fare una distinzione che solo l’omeopata sa fare attenendosi alla legge di guarigione di Hering.

a) Se i sintomi emersi seguono una direzione centrifuga in termini vitalistici, ciò rappresenta in ogni caso una tendenza alla guarigione.

b) Se emergono nuovi sintomi, mai sofferti, che indicano un aggravamento ulteriore dello stato precedente, per soppressione omeopatica di vecchi sintomi, la questione si complica.

c) In questo caso la risoluzione è sempre omeopatica e risiede nella scelta opportuna, per opera di un medico, di un rimedio nuovo che deve essere similare alla nuova sintomatologia che si è insediata!    

 

Medicofuturo: Che differenza c’è tra un rimedio sperimentato sul sano e un rimedio complesso?

Una differenza sostanziale di tipo metodologico e clinico!

Il rimedio sperimentato mi da tutte le informazioni per essere prescritto secondo il principio di similitudine sul malato.

Il complesso, non sperimentato, basa la sua supposta efficacia su esperienze dei singoli rimedi che lo compongono rispetto alla patologia che hanno curato singolarmente;  ma nel complesso vengono somministrati tutti assieme.

Quindi i complessi si possono associare più a un paradigma di tipo convenzionale in cui si considera la diagnosi di malattia per effettuare la prescrizione!

 

Medicofuturo: E sono possibili effetti indesiderati assumendo farmaci complessi?

Certamente si.

Perché i complessi non vengono prescritti sulla sensibilità della persona umana, come emerge dai suoi sintomi in modo unitario, ma sulla sua malattia ovvero su qualcosa di generico che non da’ indicazioni sulla idiosincrasia intrinseca ai sintomi del malato presi unitariamente. Quella che mi farebbe  dire che un certo paziente è sensibile a Chamomilla, piuttosto che a Nux Vomica e così via!

Il complesso invece contiene più azioni primarie contemporanee e su piani diversi; esse possono elicitare un effetto secondario disordinato e visibile in termini di aggravamento clinico.

Personalmente ho avuto esperienza di questi aggravamenti su miei pazienti che hanno assunto un complesso a mia insaputa su passa parola.

In particolare una reazione più grave la verificai in una mia paziente diabetica con forte idiosincrasia a quasi tutti i farmaci allopatici e sensibilissima a quelli omeopatici.

Medicofuturo: Qualche volta si legge sui foglietti illustrativi dei medicinali omeopatici che è necessario consultare un medico in caso di aggravamento dei sintomi, mimando una pratica allopatica che sembra poco adatta ai medicinali omeopatici? Quale sarebbe il modo migliore di informare il paziente sul foglietto illustrativo sui possibili effetti indesiderati del rimedio?

Per quanto detto precedentemente ritengo che sui foglietti illustrativi dei farmaci omeopatici complessi andrebbero indicati i possibili effetti indesiderati che si sono evidenziati nel tempo su chi li ha assunti e comunque l’obbligo di assumerli sotto controllo medico piuttosto che indicare di rivolgersi al medico dopo che si siano manifestati effetti indesiderati; come ho letto su alcuni foglietti di accompagnamento!

Un discorso a parte va fatto per il rimedio omeopatico unitario.

Il rimedio omeopatico, come spero sia emerso dalle note precedenti, non si prescrive sulla diagnosi di malattia!  Il rimedio viene prescritto sulla analogia dei sintomi tra malato e effetti  primari del rimedio stesso (patogenesi).

Quindi uno stato di malattia viene curato da un rimedio che è similare al malato che è portatore di una certa malattia.

Di conseguenza ogni rimedio omeopatico ha curato (statisticamente) diversi stati di malattia come riportato nelle Materie Mediche, quando prescritto secondo similitudine.

Tutto ciò significa che la malattia di per sé non è sufficiente a diagnosticare un certo rimedio per la sua cura, anche se il rimedio ha già curato detta malattia!

Sulphur è uno dei rimedi che ha curato più stati di malattia; non per questo è il rimedio più usato.

In conclusione, di fronte ad un paradigma, quello della medicina omeopatica, che ha la sua centralità nella peculiarità propria del malato piuttosto che della malattia, non va assolutamente indicata la patologia sull’etichetta o nel foglietto illustrativo del rimedio omeopatico!

Nello stesso foglietto andrebbe indicato che, trattandosi di una sostanza attiva sull’organismo (il rimedio omeopatico), gli effetti indesiderati sono dovuti non alla tossicità (per lo più assente) della sostanza ma all’uso inopportuno che si potrebbe fare del rimedio in termini reattivi sull’organismo, così come insegna la sperimentazione.Quindi, andrebbe indicata l’assunzione sotto controllo medico.

Medicofuturo: La sua ultima considerazione allora dovrebbe valere per tutti i medicinali, specialmente quelli allopatici, che certamente provocano effetti “tossici”.

Assolutamente si! In ogni famiglia ci sono farmaci per cure fai da te che a lungo andare possono creare disordine nell’organismo suscettibile!

Medicofuturo: la legge indica che i medicinali il cui danno sull’uomo possa essere rilevante devono essere sottoposti a prescrizione medica. E’ questo il caso per i medicinali omeopatici?

Come ho detto precedentemente non esiste un danno tossico da medicinale omeopatico. Ma essendo il rimedio una sostanza attiva che stimola la reattività intrinseca dell’organismo in modo specifico per tipo di rimedio andrebbe indicato che l’assunzione debba avvenire su consiglio del medico; a tutela del cittadino fruitore.

Medicofuturo: quale potrebbe essere quindi, secondo lei un modo migliore per diffondere l’uso responsabile del rimedio omeopatico? Ad esempio, per piccoli disturbi acuti come traumi fisici, raffreddamenti, indigestioni o altro, secondo lei sarebbe possibile un primo intervento da parte del farmacista?

La maggior parte dei cittadini utilizza farmaci su autoprescrizione per piccole emergenze acute. Il cittadino deve però essere continuamente informato sui limiti di questo suo comportamento. Limiti che alle volte egli non sa riconoscere!

Dobbiamo però dire che il paziente omeopatico in cura periodica dal medico, non il “fai da te” per intenderci, ha un filo diretto con il medico in quanto, in quasi tutte le circostanze acute, anche se inizia con autoprescrizione, avverte poi il suo medico dell’evento, di qualunque tipo, ed avrà consigli su come gestirlo. Cosa che invece non avviene nella pratica allopatica dove il fai da te è più spinto in quanto non si ha un solo medico di riferimento ma di solito più specialisti: infatti una congiuntivite, una cistite, una otalgia, una bronchite, una paresi da freddo, una piodermite etc. presuppongono l’intervento di medici diversi .

Medicofuturo: e quale dovrebbe essere la relazione tra il medico omeopata e il farmacista per la cura migliore della persona?

Siccome spesso il farmacista è il primo sanitario che il paziente intervista nelle piccole emergenze acute il suo supporto risulta indispensabile.

Per questa finalità la LUIMO ha aperto da sempre i corsi di medicina omeopatica ai farmacisti; al fine di formare dei professionisti che possano aiutare con il suggerimento di un rimedio adeguato, il paziente che ne fa richiesta. Naturalmente tutto ciò nell’ambito di quelle piccole alterazioni che richiederebbero i cosiddetti farmaci da banco. Suggerendo in ogni caso la visita medica dove le condizioni del paziente mostrassero la necessità!

Medicofuturo: infine sembra chiaro che i medicinali omeopatici vengono spesso assunti come sostituto a farmaci più dannosi. Come incrementare la cultura del loro uso migliore?

Anche questa diffusione di cultura che Medicofuturo fa risulta benemerito, in un periodo in cui le persone vogliono essere informate ed essere al centro delle proprie decisioni; in tema di Diritto alla salute e di libertà di scelta terapeutica, come sancito dalla Costituzione all’Art.32!

Per questa finalità e nello spirito dello Statuto della LUIMO stiamo organizzando nell’anno accademico 2015/16 incontri periodici con i pazienti; a numero chiuso, su richiesta. Corsi in cui si illustrerà la medicina omeopatica, l’igiene in genere e l’utilizzo di piccoli presidi terapeutici gestibili nella prima emergenza in attesa del medico; come capita in viaggio, in vacanza e in quelle circostanze dove non è possibile recuperare immediatamente un presidio medico.